Non può esserci digitalizzazione nella Pubblica amministrazione senza un cambiamento culturale che parta dall’interno: doveva servire proprio a dare questa spinta, nelle intenzioni del legislatore, la figura del Responsabile per la Transizione al Digitale, ossia il soggetto deputato nelle PA a programmare, gestire e realizzare la digitalizzazione. Una figura, invero, ancora pochissimo conosciuta e riconosciuta, nonostante la sua importanza. Vediamo in che modo la regione Friuli Venezia Giulia sta cercando di invertire la tendenza.
Digitalizzazione della PA: una sfida che vale miliardi
La “vera” digitalizzazione della PA, ancora distante dall’essere realtà, è tuttora apostrofata come “sfida”, a testimonianza di un percorso incerto sul quale si riversano preoccupazioni e speranze del nostro Paese.
La recente approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) non fa altro che confermare le grandi attese che la classe politica e dirigenziale italiana ripone nella digitalizzazione della PA: una sfida appunto su cui ci apprestiamo a investire fior di miliardi, nella speranza di semplificare, efficientare e velocizzare il nostro apparato pubblico, scatenando a cascata un effetto volano di crescita su tutta l’economia del nostro Paese.
Nonostante le cifre di cui parliamo siano ragguardevoli, l’ottimismo per questa svolta digitale resta ancora decisamente “cauto”, soprattutto fra gli addetti ai lavori. Il passato ci insegna infatti che “ingenti spese” non hanno garantito “ingente digitalizzazione”, come certificato nella commissione parlamentare d’inchiesta di qualche anno fa.
L’investimento economico è quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente, per avviare e accompagnare la famigerata “transizione al digitale”. Certamente il capitolo infrastrutturale, quello su cui è più facile impiegare il denaro, è un fattore fondamentale, ma deve essere affiancato ad un complesso percorso di rinnovamento che investa le organizzazioni in tutte le loro dimensioni: culturali, di competenze, organizzative, relazionali.
L’esperienza del Friuli Venezia Giulia
L’esperienza di supporto e accompagnamento che svolgiamo come ComPA FVG a favore dei comuni del Friuli Venezia Giulia ci insegna che la transizione al digitale è difficilmente esternalizzabile: imprese e professionisti esterni forniscono servizi eccellenti e preziosi sul tema, ma tutto ciò va poi abbinato alla conoscenza dell’ente, dei suoi utenti, dei suoi processi di lavoro, delle prassi, dei dipendenti e delle loro competenze e attitudini. Insomma, una digitalizzazione totalmente esterna avrebbe più o meno lo stesso effetto del make-up: nasconderebbe i difetti esteriori senza di fatto cambiare la sostanza.
Su questo punto anche il legislatore ha rimarcato fortemente che la digitalizzazione deve essere un processo di cambiamento che parte dall’interno della PA. L’art. 17 del CAD, infatti, individua “nelle amministrazioni” la figura del Responsabile della Transizione alla Modalità Digitale. Sempre il medesimo articolo definisce il ruolo e le competenze necessarie: il profilo che si delinea è quello di un dirigente, con un mix di competenze giuridiche, di competenze tecnico-informatiche e di competenze manageriali/relazionali.
Non stupisce quindi il fatto che in Friuli Venezia Giulia, ma immagino anche in diverse altre regioni, i comuni riscontrino una grande difficoltà nel procedere alle nomine. Consideriamo infatti che la maggior parte dei comuni (90%) ha meno di 10 mila abitanti (addirittura nel 61% dei casi meno di 3000 abitanti), e che quindi le strutture comunali prevedono pochissimi dipendenti, responsabili impegnati su tantissimi fronti diversi, segretari comunali a scavalco o assenti.
Immaginiamo l’espressione dei sindaci quando intavolano il discorso RTD e relativo profilo? Una parola: “disagio”.
L’esito delle nomine, infatti, rispecchia questo profondo “disagio”: circa la metà dei 215 comuni della Regione FVG non ha effettuato, nonostante la norma lo preveda, la nomina del RTD. Nell’altra metà dei casi, la situazione non è comunque felice: le nomine sono in larga parte “puro adempimento” senza alcuna valenza strategica, quindi assegnate d’ufficio a segretari comunali che hanno sì e no il tempo di fare una giunta a settimana, a volenterosi Responsabili titolari di Posizione Organizzativa che nei ritagli di tempo cercano di capire cosa siano queste famigerate tassonomie di PagoPA, a semplici dipendenti dell’area tecnica che pagano a caro prezzo il fatto di aver un giorno liberato una stampante inceppata, guadagnandosi da allora la fama di “referente informatico” dell’ente.
RTD, domanda e offerta: come stimolarle
Da un lato, quindi, risulta fondamentale che le PA abbiano al proprio interno una figura in grado di spingere e coordinare la transizione al digitale (un RTD), dall’altro capiamo come sia difficile per gli enti dotarsi di questi profili, assolutamente innovativi rispetto a quanto la PA ha contrattualizzato negli ultimi decenni.
Per individuare possibili soluzioni un’alternativa su cui è utile riflettere è quella che prevede di approcciare il tema in ottica di “mercato dei RTD”.
Raggiungeremo il nostro risultato quando ci sarà un’adeguata corrispondenza fra domanda e offerta di RTD. Attualmente, in particolare in FVG, entrambi questi aspetti risultano deficitari: sono davvero pochi gli enti pronti a fare scelte radicali per inserire nella propria struttura un RTD, e contemporaneamente nelle procedure concorsuali si assiste ad una sostanziale penuria (in alcuni casi assenza) di figure con profili trasversali (ma anche semplicemente informatici).
Proviamo ad approfondire nel dettaglio la questione.
Come favorire una forte domanda di RTD da parte degli enti locali?
Il primo aspetto sicuramente riguarda la sensibilizzazione della parte politica. La chiave di volta, come nella maggior parte delle sfide della PA, sta in mano alla politica: laddove gli amministratori comprendono l’urgenza, l’importanza e i benefici della digitalizzazione, qui è possibile notare come i percorsi di transizione digitale riescano, con più o meno fatica, ad avviarsi. Far comprendere che possedere un RTD è strategico tanto quanto possedere un ragioniere diventa quindi un punto di partenza fondamentale nel coinvolgimento della parte politica.
Il secondo aspetto riguarda invece la gestione associata del RTD, prevista dalla normativa, che si configura come unica strada da percorrere negli enti di dimensioni piccole: difficilmente infatti questi comuni, a prescindere dalla motivazione degli amministratori, possono permettersi economicamente di sostenere la spesa di un RTD nella propria struttura. Da questo limite nasce perciò l’opportunità di impostare delle gestioni associate finalizzate ad erogare servizi condivisi e comunque performanti.
La questione economica è comunque un aspetto critico in tantissime amministrazioni. Potrebbe essere una potenziale leva d’incentivo per favorire l’assunzione di questa figura negli enti, ad esempio prevedere forme di finanziamento per abbattere, almeno nei primi anni, i costi di personale legati al RTD.
Come invece agire per stimolare l’offerta?
Il primo tema, e forse anche il più importante e complesso, riguarda l’attrattività della PA. Non che serva ribadirlo, ma sicuramente l’immaginario collettivo attuale dipinge la pubblica amministrazione agli antipodi di quello che invece dovrebbe essere: pigra, inefficiente, focalizzata solo sugli aspetti burocratici e poco sul “servizio”, antimeritocratica. Un giudizio impietoso (per alcuni tratti anche ingiusto) che rende la PA un “ripiego” (più o meno momentaneo) per i giovani laureati che, legittimamente, a fronte di eccellenti percorsi accademici, puntano ad esperienze lavorative che offrano opportunità di crescita professionale, ambienti sfidanti e stimolanti e percorsi di carriera. In un mercato dove un profilo trasversale come quello di un RTD (manageriale, informatico, …) è comunque molto richiesto, come può la PA pensare di competere con il mondo privato delle aziende? Questo problema di attrattività, che comunque riguarda in generale tutto il tema del rinnovamento delle risorse umane, è senza dubbio una delle sfide principali che la PA non può più non affrontare.
Un secondo punto che le PA e in particolare gli enti locali, almeno per quanto riguarda il contesto del FVG, non prendono (o solo in piccola parte) in considerazione è l’opportunità di essere maggiormente presenti in ambito accademico, con interventi e testimonianze all’interno di corsi universitari, con la presenza ad eventi di placement e orientamento tipo “Fiera del lavoro”, con opportunità di tirocinio: se le aziende “sgomitano” per attrarre e aggiudicarsi le menti più promettenti, perché non lo possono fare anche le PA? Anzi, proprio per l’immaginario negativo di cui parlavamo prima, questi contesti potrebbero essere un’occasione importante per mostrare che nella PA esistono anche molte eccellenze e che una corsa al rialzo nella qualità dei neoassunti potrebbe essere una leva fondamentale di rinascita del settore pubblico.
Su cosa sta lavorando il FVG
Il contributo che ANCI FVG ha voluto portare nel territorio parte innanzitutto dalla valorizzazione delle risorse attualmente presenti nella PA, e nello sviluppo e rafforzamento delle loro competenze, oltre che nella sensibilizzazione e nella diffusione della cultura digitale (anche verso gli amministratori!). Con riferimento ai temi che abbiamo trattato finora, nello specifico è stato avviato (siamo alla seconda edizione) un percorso formativo annuale dedicato ai RTD del Friuli Venezia Giulia, al fine di fornire un supporto formativo che allinei i partecipanti al profilo del RTD, dando contemporaneamente strumenti e soluzioni per affrontare le sfide poste dal piano triennale.
Contestualmente e anche grazie a questa iniziativa, sta nascendo in maniera quasi spontanea una comunità regionale di RTD, come espressione del desiderio di confronto e di condivisione di conoscenze, problemi e soluzioni, che permette di mettere a fattor comune le migliori esperienze che si sviluppano sul territorio.
Infine, data la connotazione demografica dei comuni regionali, ANCI FVG ha voluto attivare anche un supporto a quei gruppi di enti che intendano avviare percorsi finalizzati alla costituzione di Uffici Transizione Digitale associati. Il RTD e i colleghi dell’UTD associato potranno beneficiare di attività formative e supporto consulenziale dedicati, e accedere a strumenti operativi sviluppati da esperti della materia. Il fine è quello di facilitare al massimo il processo di realizzazione di questo servizio, che per quanto sia complesso, rappresenta di fatto l’unica possibilità (e speranza) per molti territori di avere un “vero” RTD.
La strada da percorrere è sicuramente ancora lunga, le sfide, come abbiamo visto, sono molte, ma il contesto attuale non consente tentennamenti: il PNRR riverserà risorse e progetti nei territori per attuare la transizione digitale ed è fondamentale che i territori si facciano trovare pronti e attrezzati per non perdere questo (ultimo?) treno che prevede una PA digitale, efficiente e cittadino-centrica. Il cambiamento oggi non può permettersi di restare confinato all’esterno delle organizzazioni pubbliche come spesso è avvenuto in passato. Oggi deve penetrare nelle maglie degli enti, permeare la loro cultura, e i loro processi; e in questo il ruolo del RTD è imprescindibile e per questo strategico.
A cura dell’ing. Giacomo Re – Responsabile Area PA Digitale Fondazione ComPA FVG
Pubblicato su Agenda Digitale