Democrazia «La sua crisi un cuore ferito»

di Giovanni Tomasin
 
Sono circa le sei e mezza di ieri mattina quando l’elicottero di Papa Francesco s’alza in volo sul Vaticano: lascia alle spalle la Città eterna, sorvola i picchi dell’Appennino e il mare Adriatico. Infine, la città bianca di Trieste: alle 7.54 il Pontefice atterra nel piazzale antistante il centro congressi del Porto vecchio.
 
Ad accoglierlo trova le autorità laiche e religiose: il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, l’arcivescovo di Catania Luigi Renna, il vescovo di Trieste Enrico Trevisi, il prefetto Pietro Signoriello, il presidente Fvg Massimiliano Fedriga, il sindaco Roberto Dipiazza. A fare gli onori di casa l’ad di Generali Philippe Donnet.
 
Il vero benvenuto, però, arriva al Papa dal migliaio dei delegati della Settimana sociale dei cattolici in Italia, nella grande sala del Gcc, che lo accoglie con la standing ovation. Il Papa arriva sul palco camminando da solo, poggiandosi a un bastone: è l’inizio di una giornata in cui il Pontefice, inizialmente provato dalla stanchezza, si mostrerà sempre più energico col passare delle ore, come fosse la folla a dargli forza.
 
Dopo gli interventi introduttivi del cardinal Zuppi e di monsignor Renna, Francesco prende infine parola. E parte da un aneddoto: «La prima volta che ho sentito parlare di Trieste è stato da mio nonno», racconta il Papa. Reduce dal fronte del Piave nella Grande guerra, «ci insegnava tante canzoni, e una era su Trieste: “Il general Cadorna scrisse alla regina, se vuol guardare Trieste la guardi in cartolina”. Era la prima volta che sentivo il nome della città».
 
Bergoglio passa quindi a trattare il tema di questa Settimana, “Al cuore della democrazia. Partecipare fra storia e futuro”. Citando il fondatore delle Settimane sociali, il beato Giuseppe Toniolo, il Papa definisce la democrazia il sistema in cui tutte le forze sociali «cooperano al bene comune, rifluendo nell’ultimo risultato a prevalente vantaggio delle classi inferiori». Alla luce di questa definizione, riflette il Papa, «è evidente che nel mondo di oggi la democrazia non gode di buona salute». Questo «ci interessa e ci preoccupa, perché è in gioco il bene dell’uomo, e niente di ciò che è umano può esserci estraneo». I cattolici hanno dato un contributo «determinante» all’ordinamento democratico nato in Italia dopo la Seconda guerra mondiale, prosegue il Papa, un impegno che la Chiesa ha confermato anche nel 1988 con la ripresa delle Settimane sociali.
Francesco riprende il simbolo di questa Settimana sociale, un grande cuore, per proporre due riflessioni sul tema democratico: «Possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone». Prerequisito per la democrazia è quindi la «partecipazione» («Non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata» una delle sue sottolineature), per la quale il Pontefice ritiene fecondo il dialogo fra religione e società: «Illuminandoci a vicenda e liberandoci dalle scorie dell’ideologia, possiamo avviare una riflessione comune». A tale scopo rimangono «fecondi» i principi di solidarietà e sussidiarietà: «Un popolo si tiene insieme per i legami che lo costituiscono, e i legami si rafforzano quando ciascuno è valorizzato. La democrazia richiede sempre il passaggio dal parteggiare al partecipare, dal “fare il tifo” al dialogare».
 
La seconda riflessione del Papa è quindi un incoraggiamento a partecipare, «affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato»: «La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo. Purtroppo questa categoria, “popolo”, spesso è stata male interpretata e potrebbe portare a eliminare la parola stessa “democrazia”. Ciò nonostante, per affermare che la società è più della mera somma degli individui, è necessario il termine popolo. In effetti, è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo».
 
Prosegue Francesco: «Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e dell’ecologia integrale». Citando Giorgio La Pira, il Pontefice osserva: «La pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani?». E conclude ricordando il ruolo della Chiesa: «Coinvolgere nella speranza, perché senza di essa si amministra il presente ma non si costruisce il futuro».
 
Fonte Il Piccolo