I Comuni non riescono a investire

In sette anni i Comuni hanno perso 897 dipendenti e la macchina amministrativa rallenta a tal punto da bloccare, o quasi, gli investimenti. Detta in altri termini la maggior parte degli enti non riesce a spendere tutte le risorse che ha a disposizione. La media pro capite dei fondi fermi in cassa, nel triennio che va dal 2019 al 2021, è passata da 433 a 511 euro. Ma nei comuni più piccoli, con meno di mille abitanti, questa cifra raddoppia.

Lo scrive la Corte dei Conti dopo aver verificato i bilanci approvati, nel triennio, dagli enti locali: «Abbiamo una situazione di congelamento, le risorse che i cittadini versano pagando le tasse non rientrano nel sistema economico. Le risorse non vengono movimentate perché manca la struttura amministrativa che deve attivare la macchina per arrivare alla spesa. È indispensabile intervenire a breve». Con queste parole la presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, Emanuela Pesel, intervenuta ieri, davanti alla quinta commissione presieduta da Diego Bernardis (lista Fedriga), ha posto un problema noto quanto urgente soprattutto nei piccoli comuni. L’ha fatto promuovendo il sistema della finanza locale. 

I numeri 

La Corte ha fotografato la realtà composta da 215 comuni suddividendola per fasce demografiche, dove l’avanzo complessivo, dal 2019 al 2021, passa da 633 a 845 milioni di euro.

L’aumento costante dell’avanzo riguarda sia le quote accantonate a fini prudenziali sia quelle disponibili nella cosiddetta quota libera che, come ha spiegato il magistrato contabile Antonella Manca, presente assieme al collega Daniele Bertuzzi, «dimostra che c’è un problema tra la programmazione e la velocità di spesa». Entrando nel dettaglio delle quote pro capite Manca si è soffermato sul dato dei comuni fino a mille abitanti, dove la cifra supera 2 mila 400 euro pro capite. La difficoltà a spendere viene favorita dalle carenze e dalla difficoltà a reperire personale. «È in atto – ha aggiunto la presidente evidenziando il fatto che pure la Corte sta affrontando lo stesso problema – un cambiamento sociologico, nella fase post pandemia le persone guardano alla qualità della vita più che allo stipendio. Anche bandendo i concorsi le assunzioni non sono immediate». Nei comuni più piccoli la flessione media del personale è pari al 14,28 per cento, e se in montagna sfiora il 25 per cento, in pianura scende al 20,49 per cento. Oltre alla mancanza di personale nelle aree economico-finanziaria e tecnica, anche lo scioglimento di alcune convenzioni per la gestione associata dei servizi ha contribuito a ingessare il sistema. 

Debiti, pagamenti e addizionale 

Al rallentamento della spesa si contrappone il calo dell’indebitamento passato da 842 a 719 milioni di euro. Questo dato viene valutato positivamente dalla Corte dei conti alla pari della buona affidabilità nei pagamenti anche se i piccoli comuni registrano qualche problema pure su questo fronte. I fornitori ricevono il dovuto in anticipo di tre giorni rispetto alla scadenza dei 30 giorni. A livello nazionale succede esattamente l’opposto con versamenti effettuati 15 giorni dopo la scadenza. In regione l’addizionale Irpef è stata adottata da 166 dei 215 Comuni, «ma solo una trentina di amministrazioni dipende da questo strumento per arrivare al pareggio di bilancio: si tratta dei comuni capoluogo e di quelli che svolgono funzioni di mandamento» ha spiegato Manca senza dimenticare di dire che «solo uno dei 52 comuni fino a mille abitanti ha bisogno dell’addizionale, la sensazione – ha aggiunto – che si tratti di una prudenza eccessiva». 

I controlli 

Oltre ai bilanci, la Corte dei conti mantiene alta l’attenzione sul Pnrr. «Stiamo cercando di capire – ha spiegato la presidente – quali siano gli interventi finanziati e a che punto stanno». Lo stesso fa sulla realizzazione delle case di comunità e sui servizi sanitari territoriali. 

di Giacomina Pellizzari

Fonte Il Messaggero Veneto