Le sindache della Carnia, ripopolare la montagna tra solidarietà e talenti

di Anna Gandolfi

Quattro sindache e nove «vice», imprenditrici e mamme si mettono in rete (e in gioco) per creare fiducia, lavoro e combattere lo spopolamento. Una carovana di iniziative per motivare altre valligiane. Le aziende rosa? Il 27 per cento

«I popoli della Cargna fan diversi traffici coi tedeschi e come gente industriosa si partono dal loro paese in gran numero, et vanno a procacciarsi il viver in luochi lontanissimi…».

Nel 1866 lo storico Iacopo Valvasone di Maniago descrive i cramars, venditori pellegrini. Tessuti di lino, cucchiai scolpiti, spezie recuperate a Venezia: finiva tutto nel mobiletto di legno da issare in spalla (la crama, appunto). Centinaia di chilometri a stagione macinati a piedi o a cavallo. Agricoltura d’estate, commercio d’inverno: dalla Carnia e dal Tarvisiano, all’estremo nord del Friuli, arrivavano in Austria, Ungheria, o giù fino al mare con la boteghéta viaggiante. Guadagnavano talleri e zecchini – a volte parecchi – e nei secoli hanno garantito la sopravvivenza dei villaggi da cui s’incamminavano.

Oggi il rischio rimane: i monti si spopolano, l’emorragia è massiva. E allora c’è chi tenta di ricominciare dalla lezione di chi partiva ma poi tornava perché qui era la sua casa, «dalla vita nei piccoli borghi per scelta, e non per mancanza di alternative». Stefania Marcoccio è presidente di una coop per lo sviluppo sociale che si chiama proprio come gli ambulanti estremi, Cramars. La sede è a Tolmezzo, cuore della Carnia, area nord-occidentale della provincia di Udine.

Fotografia della crisi

Marcoccio ha due certezze. Primo: «Le potenzialità, lontani dalle metropoli, ci sono e la pandemia le ha mostrate meglio. Più natura, più rapporti di vicinato». Secondo: «La sfida è fare sì che ci siano anche i servizi, le opportunità di lavoro. Oggi la situazione è difficile: per raggiungere l’ospedale di Tolmezzo da Forni Avoltri ti devi fare un’ora di macchina, per gli asili nido spesso è un viaggio su e giù per le valli». Servono investimenti. Ma i fondi non arrivano se non si crede nel territorio. Ed è così che in Carnia ha preso piede la consapevolezza: «Le donne. La chiave siamo noi. Se le donne se ne vanno, la montagna muore». La coop ha messo sotto la lente la demografia locale e i risultati sono impietosi.

La Carnia è composta da 28 comuni: su 1.200 chilometri quadrati (pari all’intera provincia di Varese, o a quella di Livorno) vivono circa 35mila persone. «In tre anni, tra 2017 e 2019, la popolazione femminile ha segnato una perdita di 458 unità. Il doppio di quella maschile, un numero pari ai residenti di un paese di piccole dimensioni, come Comeglians». Donne che lasciano. E ancora emigrano. «La media ora resta di 200 abbandoni annui. Perché è allarmante? La scelta delle donne di restare è direttamente (e naturalmente) collegata all’incremento o al decremento della popolazione. Senza di loro vengono meno anche i bambini, quindi asili, scuole, attività ricreative, commerciali. È un imperativo: bisogna aiutare le residenti a immaginare e a progettare un futuro nelle Terre alte del Friuli».

Sindache, imprenditrici, mamme in pista per motivare le altre. Tra le ultimissime iniziative, «la carovana dell’Empowerment femminile, con un approccio inedito: lavoriamo sulla psicologia, sulla forza di comunità», spiega Marcoccio, che tira le fila con le istituzioni (il finanziamento arriva dalla Regione). I coach girano le vallate per parlare di empatia per fare rete, fiducia nel talento, dando consigli su come vivere un’associazione, su come parlare in pubblico. Il percorso si affianca a Carnia 2030, in cui la Comunità di montagna (ex comunità montana) sonda la popolazione per capirne le urgenze con l’obiettivo di stendere programmi operativi.

«Servizi per l’infanzia, connessione web, mobilità. Servono tante cose e tante cose mancano. Ma noi vogliamo dire: ci siamo, ci proviamo», conclude la presidente della coop, che a 48 anni è lei stessa «testimonial», vista la laurea in Economia che l’avrebbe portata a lavorare nelle metropoli e la scelta, invece, di applicare gli studi a chilometro zero. Come Stefania, le sindache della Carnia: quattro, 13 contando le vice. Senza steccati politici, consapevoli che guidare un paese piccolo riservi molti oneri e pochi onori, diventano esempio. Sandra Romanin ha 71 anni: ex maestra e dirigente scolastica, amministra Forni Avoltri, 532 abitanti, 888 metri di quota. «Da bambina – ricorda – mi sono trasferita a Udine in collegio: era l’unico modo per frequentare le scuole medie. Finiti gli studi, ho dato la disponibilità ai trasferimenti per l’insegnamento: volevo confrontarmi con realtà più ampie del mio paesino». Però. «Però rientravo appena potevo».

Nel 2019 si candida e vince: «Volevo fare qualcosa per Forni». Oggi è anche tornata a viverci, e dice: «La solidarietà è quotidianità. Qui tutti si conoscono, le relazioni sono preziose: un punto di forza da valorizzare». Le fa eco Erica Gonano, classe 1976, una passione per la politica nata in famiglia, alla guida di Prato Carnico che nel quadro degli «abbandoni» va controcorrente: più cinque nomi femminili fra i residenti. Piccoli numeri ma il saldo tiene. «Le donne devono prendersi cura delle donne. Solo così il legame con il luogo in cui vivono diventa indissolubile».

Politica e impresa

Con 14.226 euro lordi, il reddito annuo pro capite dell’area è il più basso di tutte le province alpine. Ma qualche segnale positivo c’è. Nel cuore delle Alpi Carniche le imprese femminili sono il 27% del totale, in provincia di Udine il 24%. Ci si rimbocca le maniche. «Io questi monti non li cambierei per niente al mondo», conferma Elena Sica, 27 anni. A 22 ha mollato «il posto fisso» in uno studio dentistico e si è data all’agricoltura bio: oggi la sua azienda, la Sisile di Villa Santina, è conosciuta anche fuori regione. «Il biologico non è una moda: è uno stile di vita. Il territorio va rispettato, non sfruttato». Montanara adottiva è Lorenza Bizzi, 43 anni, che nel 2018 da Gorizia è risalita fino a Rigolato, 370 abitanti. «Cercavo una farmacia da rilevare. Non conoscevo nessuno, eppure ho deciso che era il posto giusto». Da dietro al bancone si vendono medicine, si ascolta, si presidia. Altra lezione della pandemia. «La farmacia non è solo un’attività commerciale: è un servizio per la comunità, può fare la differenza nella scelta di vivere o meno in un luogo». Loro hanno deciso. Come per i cramars, qui, è casa.

(Fonte Il Corriere della Sera)