Le note vicissitudini che stanno interessando tantissimi Comuni da nord a sud e i gestori del servizio rifiuti rendono urgente un intervento del Governo per tutelare i cittadini e impedire un rialzo delle tariffe del servizio di gestione dei rifiuti urbani, dovuto a un intreccio di difficoltà legate all’applicazione delle regole ARERA e, principalmente, alla vicenda dei cd. “impianti minimi” innescata da alcune sentenze del Consiglio di Stato avverso le determinazioni dell’Autorità.
Si tratta in particolare dell’annullamento, da parte del CdS delle prescrizioni contenute nella deliberazione ARERA 363/21, con cui l’Autorità ha definito i criteri per l’individuazione degli “impianti minimi”, sulla base dei quali alcune Regioni hanno adottato le delibere in cui si individuano gli impianti indispensabili per la chiusura del ciclo dei rifiuti in ambito (c.d. impianti minimi) e, in conseguenza, hanno richiesto ai gestori degli impianti la redazione dei piani economici per la definizione delle conseguenti tariffe regolate.
A seguito di queste sentenze, ARERA ha annullato le proprie determinazioni, prevedendo al contempo la salvaguardia, ma solo a partire dal 2024, del sistema tariffario finora adottato, lasciando prive di regolazione le annualità precedenti, 2022-2023, sulla base delle quali sono già state determinate in diverse regioni all’interno dei PEF le entrate tariffarie relative agli impianti minimi. Questo determina un vuoto a causa del quale, in assenza di un intervento urgente del Governo o del Parlamento, gli utenti delle stesse regioni si ritroverebbero costretti a dover restituire ai gestori degli impianti già definiti come “minimi” sulla base della precedente regolazione ARERA, la differenza di tariffa per le annualità 2022 e 2023 con un aggravio della Tari pur in presenza di una norma –il Piano nazionale di gestione dei rifiuti (PNGR) – che da giugno 2022 definisce la possibilità di applicare delle tariffe calmierate.
Questa grave incertezza, oltre a determinare una sperequazione tra utenti del servizio nelle diverse aree del Paese, con i rischi di aumenti di tariffe sopra richiamati, comporta anche importanti difficoltà materiali nella redazione dei PEF 2024, la cui prossima scadenza del 30 aprile è imminente e, in moltissime realtà, insostenibile.
In questo contesto di grave incertezza, si registrano poi diffusi ritardi anche nell’aggiornamento biennale 2024-2025 del PEF. Senza un PEF validato non è possibile approvare le tariffe entro il 30 aprile, con conseguente conferma tacita delle tariffe deliberate nel 2023, che però risulteranno insufficienti a coprire i costi effettivi 2024. In assenza di PEF disponibili in tempo utile, quindi in approvazione oltre il termine del 30 aprile, i Comuni potranno confermare provvisoriamente le tariffe vigenti e deliberare le nuove tariffe entro il 31 luglio, al fine di ripristinare gli equilibri di bilancio (in applicazione dell’art. 193 del TUEL), ma tale possibilità appare percorribile solo per la Tari e non per la tariffa rifiuti corrispettiva, sicché si verrà a creare un corto circuito tra le norme di riferimento e le prescrizioni di ARERA sulla redazione del PEF, con il rischio di non garantire la copertura integrale dei costi.
L’ANCI si è attivata fin dai mesi scorsi richiamando attenzione del Governo sulla problematica anche con la presentazione di un emendamento che regola la situazione e proroga al 30 giugno prossimo la scadenza dei PEF e delle tariffe del prelievo sui rifiuti, che purtroppo non è stato accolto.
È necessario e ormai improcrastinabile che Governo e Parlamento prendano atto al più presto di questa particolare emergenza, da un lato prevedendo un termine più ampio per la redazione dei PEF, almeno al 30 giugno, e dall’altro prevedendo una soluzione tampone per le annualità che restano prive di regolazione degli impianti cosiddetti “minimi”(2022 e 2023) per scongiurare aumenti di tariffe in molte realtà territoriali.